CAI Bordighera

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MONTE TORAGGIO
ITINERARIO
Dalla Colla Melosa si segue per circa 600 metri la strada in terra battuta che sale al Monte Grai. Giunti al tornante dove si trova la "fontana Itala" si imbocca a sinistra un sentiero (segnavia: un triangolo rosso), che all'inizio è pianeggiante e poi scende ripido (corde metalliche) per attraversare l'alveo roccioso di un torrentello. Dopo aver superato un altro rio, si sale fino ad un bivio e da qui si continua a sinistra in lieve discesa verso il Sentiero degli Alpini. Costeggiando alla base le prime bastionate rocciose, si giunge ad una fonte che scaturisce dalla viva roccia, quindi si attraversa una breve galleria. Il Sentiero degli Alpini prosegue con vari saliscendi, tagliando le bastionate inferiori dei Monte Pietravecchia. Si percorrono tratti scavati nella roccia e altri in cui la mulattiera è franata, attrezzati con cavi d'acciaio. Si sale quindi, con una serie di tornanti, alla Gola dell'incisa (1685 m; 1.45-2 ore dalla Colla Melosa), intaglio roccioso posto sulla cresta di confine, tra il Monte Pietravecchia e la cresta nord dei Toraggio. Si continua sul versante italiano, lungo il sentiero che taglia gli scoscesi fianchi orientali dei Monte Toraggio. Dopo aver superato alcuni tratti esposti, attrezzati con cavi metallici, si sbuca sui prati dei versante sud, che si attraversano in lieve discesa fino ad incontrare l'Alta Via dei Monti Liguri. Seguendola verso destra, si sale con alcuni 
tornanti al Passo di Fonte Dragurina (non perenne), quindi taglia in lieve discesa i fianchi nord occidentali del Toraggio, in gran parte coperti di larici, e riporta alla Gola deil'incisa. Da qui si prosegue in salita lungo l'Alta Via dei Monti Liguri, che aggira a ovest il Monte Pietravecchia. Giunti sui prati dei Passo della Valletta (1909 m), si abbandona l'Alta Via e si scende sul versante opposto, attraversando la vecchia strada militare, per dirigersi a sud-est lungo un sentierino tra i larici. A quota 1800 circa si gira a sinistra e si giunge ad un tornante della rotabiie che dalla Colla Melosa sale ai Monte Grai (quota 1792). Trascurando la strada, si scende a destra nel bosco fino ad un'ampia sella (quota 1740 circa), quindi si piega verso nord e si continua a scendere in diagonale tra i larici. Dopo aver attraversato un tratto roccioso (cavi metallici), si incontra nuovamente la rotabile a quota 1660. Seguendola in discesa si ritorna infine alla Colla Melosa.

Gusci a forma di moneta inglobati nel calcare
I monti Toraggio, Pietravecchia e Grai si innalzano sullo spartiacque tra Nervia e Roia, al confine tra la Liguria e la Francia. Malgrado la vicinanza del mare (le spiagge di San Remo e Bordighera distano solo una ventina di chilometri), si tratta di montagne di tutto rispetto, gigantesche e dirupate. Il Toraggio, in particolare, è una bella montagna piramidale, che emerge dalla cresta di confine con ardite pareti rocciose. E’ dotato di due vette gemelle, collegate da una cresta frastagliata lunga circa 250 metri . Nella guida Alpi Liguri di Euro Montagna e Lorenzo Montaldo si legge che la Cima Orientale è la più elevata. Sulla carta della Regione Liguria in scala 1: 10.000 risulta invece che la Cima Orientale è alta 1971.3 m e la Cima Occidentale 1971.6 m. Le pareti superiori del Toraggio e del Pietravecchia sono costituite da calcari nummulitici, rocce molto ricche di fossili, tra cui, appunto le nummuliti. Si tratta di antichissimi organismi unicellulari, oggi estinti, che vivevano su fondi marini calcarei o sabbiosi. Il loro nome deriva dal latino nummus (moneta) ed è dovuto alla forma discoidale del guscio, che negli esemplari di maggiori dimensioni ha un diametro di alcuni centimetri. Guardando attentamente la roccia, è possibile individuare le nummuliti in essa inglobate. Nelle giornate limpide, il Monte Toraggio offre un panorama stupendo: < ci dirigemmo nella vetta, inerpicandoci per le rocce ed in mezzo ai mobili detriti delle stesse e, dopo mezz’ora di malagevole cammino, arrivammo sulla punta del Toraggio, da dove si offriva al nostro sguardo uno spettacolo grande ed imponente. A nord e nord-ovest si vedevano giganteggiare nel fondo le Alpi Marittime con le cime nevose del Diavolo, del Bego, del Claper e dell’Abisso, nonché le vette che delineano la catena la quale staccandosi dal gruppo centrale si prolunga verso est con le cime delle Saline, delle Colme, il Mongioie, il Pizzo di Conolia e, ultimo il Pizzo d’Ormea. A sud si contemplavano le ridenti vallate della Roja e della Nervia, popolate di borghi e di villaggi;ed in lontananza le acque del mare Lugustico, che non agitate dal vento sembravano formare un immenso lago d’olio.> Giacomo Gentile rivista mensile C.A.I. anno 1989.

Sede di un dio o luogo di pascolo?
Sull’origine del nome Toraggio (in dialetto Turagge) non esiste ancora una spiegazione definita. Nel libro Toponomastica Intemelia, Nino Lamboglia scrive: “il nome di questa montagna è evidentemente uno dei più antichi della regione. Un seducente ravvicinamento potrebbe tentarsi con la divinità Torevaius, attestata a Cemenelum; in tal caso il toponimo conterrebbe il ricordo di un culto topico a questo monte, dominate la val Nervia, parallelamente al Bego che domina la val Roia, e si risalirebbe alla voce alpina t(u)or, ancora vitale nelle Alpi Marittime in senso di “cima” e che abbraccia un’amplissima area mediterranea e preindoeuropea. Ma è più semplice pensare o a una base tauraricum, allusivo ad antichi diritti di pascolo (il riflesso indigeno di –ati-cu è veramente –aigu-, ma concorre l’esito –age-, d’influenza provenzale e più genericamente d’influenza letteraria), od anche turraculum svolto nello stesso modo di fenuculum, cuniculum, che danno fenuggiu, cuniggiu”. Sempre a proposito del nome, nell’opuscolo di Gilberto Calandri il Monte Toraggio, caratteri geomorfologici e ideologici si legge: “il toponimo Toraggio è senza dubbio antico, di epoca romana. Incerto se derivi da turris (con riferimento alla forma a torrione della parte più elevata della montagna) o da taurus (da una divinità preromana e forse in connessione con il pascolo, come proposto dal Lamboglia)”.

Un ardito sentiero tra balze e dirupi
La posizione periferica e la roccia a tratti friabile e a tratti troppo compatta hanno fatto si che i monti Toraggio e Petraveccia non siano mai stati presi seriamente in considerazione dagli alpinisti. Per quanto riguarda il Toraggio, nella guida di Montagna e Montaldo (pubblicata nel 1981) viene descritta, senza menzionare gli autori della prima ascensione, un’unica via di roccia sul versante nord-est, con il passaggio chiave costituito da un cammino di 30 metri che oppone difficoltà di III° grado, e viene citata una variante più difficile lungo il filo di uno sperone. D’ inverno, con neve ben assestata, presentano un certo interesse alpinistico i canalini del versante nord-ovest. Il Toraggio viene frequentato soprattutto dagli escursionisti, che ne raggiungono la sommità percorrendo lo spettacolare “Sentiero degli Alpini”, in parte scavato nella viva roccia. A tal proposito, Enrico Martini scrive :”I versanti in territorio francese, ripidi ma compatti, sono attraversati da una mulattiera che, già nel secolo scorso, era perfettamente agibile e ben frequentata; quelli italiani, nell’intervallo tra le due guerre mondiali, vennero dotati di un tracciato quasi simmetrico ma ben più ardito, dato che i pendii attraversati sono in buona parte un susseguirsi di balze scoscese, dirupi e burroni. L’opera che prese il nome di “Sentiero degli Alpini” venne decisa per poter disporre di un’alternativa alla mulattiera settentrionale, a quei tempi ancora italiana ma inagibile per lunghi mesi, a causa della neve; inoltre il suo tracciato era invisibile ai francesi, attestai sui rilievi a occidente del fiume Roia. Le difficoltà che si opposero agli edificatori di quest’opera furono gravissime: alle avversità climatiche si aggiunsero quelle determinate dalla natura della roccia, fortemente fessurata per effetto delle terribili sollecitazioni che generarono queste montagne. Quando la mulattiera venne terminata, essa doveva costituire un’opera grandiosa, degna di competere con le celebrate vie degli Alpini e dei Kaiserjager sulle Alpi orientali. Oggi, dopo 40 anni di colpevole abbandono ( solo sezioni del CAI – Bordighera, San Remo, Ventimiglia vi effettuano piccoli lavori di ripristino), essa ha perso gran parte della sua perfetta agibilità: nei tratti meno scoscesi e sotto le rupi verticali il primitivo tracciato si conserva; in altri punti, e soprattutto in corrispondenza dei numerosi selvaggi canaloni che scendono dai crinali più elevati, la mulattiera è irrimediabilmente scomparsa e le frane di massi si accaniscono contro le corde metalliche, disposte periodicamente con certosina pazienza.

Miriadi di faville ardenti e pioggia di doni per tutti i bambini
I monti Toraggio, Pietravecchia e Grai sono i protagonisti di un’antica, dolcissima leggenda dell’alta Val Nervia, riportata da Enzo Bernardini nel libro La provincia di Imperia – La Riviera e il suo entroterra : “Ogni anno, durante la notte della vigilia dell’Epifania passano in alto , a cavallo, sul nostro cielo, i tre re Magi Gaspare, Melchiorre e Baldassarre con il loro brillante seguito, guidati dalla stella, che li condurrà dov’è nato Il Salvatore. I generosi cavalli galoppano veloci per non giungere in ritardo all’appuntamento e trovano sul loro cammino l’ultimo ostacolo delle immacolate vette dei monti Grai, Pietravecchia e Toraggio, i giganti dell’alta Val Nervia. Dopo potranno prendere lo slancio verso l’ampia distesa del mare e raggiungere Betlemme. Dall’urto possente dei loro zoccoli ferrati sulle rocce delle nostre montagne si sprigionano miriadi di faville ardenti , che formano nel cielo nuvole di luce d’oro, dalle quali cade una fatata pioggia di doni per tutti i bambini dei paesi di quelle montagne. Pioggia che scende dal cielo, batte sui tetti delle case, sui davanzali delle finestre, entra attraverso i comignoli e finalmente giunge nelle cucine, dove il mattino dell’Epifania fanno la gioia dei bambini.
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